Cara Netily,
quest’anno sentiamo il desiderio di raggiungervi con gli auguri in maniera diversa. Non correndo alla velocità delle ultime notizie, ma fermandoci e dedicando a questo numero de Il Megafono Giallo qualcosa di estremamente raro e prezioso: il tempo della riflessione. Tempo per guardare insieme all’anno appena trascorso, per molte e molti più complicato di altri, e che merita perciò di essere osservato da vicino, con lentezza e cura.
Perché quando ci fermiamo davvero, senza le scorciatoie dei bilanci e delle formule, ci accorgiamo che un anno non è un contenitore ordinato, ma un percorso. Un clima che si crea giorno dopo giorno, fatto di passaggi, di incontri, di scelte che, messi uno accanto all’altro, raccontano chi siamo oggi, e chi vogliamo essere.
Se pensiamo al 2025, infatti, non ci viene in mente un fatto preciso, ma una sensazione fisica: un clima, una temperatura. L’aria che abbiamo respirato, a volte pesante, densa di pensieri e di emozioni difficili; altre, all’improvviso, più leggera.Come se il clima emotivo cambiasse di continuo, chiedendoci un costante adattamento. A restare, però, sono state le parole: quelle che ci raccontano e hanno il potere di creare ponti da attraversare. Insieme.
Quest’anno abbiamo incontrato parole capaci di curare e parole capaci di ferire. Parole che spiegano senza semplificare. Parole in grado di nutrire speranze, o al contrario di soffocare diritti. Abbiamo ascoltato il rumore sordo di slogan vuoti e promesse cieche. Ma anche vissuto momenti piccoli, quasi invisibili, in cui abbiamo scelto di fermarci. Di trattenerci, di dire una cosa in meno, o dirla meglio. Ed è lì che l’aria si è alleggerita, e abbiamo potuto respirare.
Questo ci ha ricordato qualcosa che tendiamo a dimenticare: il linguaggio non è mai neutro, ma è sempre quotidiano. Non vive solo nei grandi discorsi pubblici, ma nelle relazioni che attraversiamo ogni giorno. Non esistono anni completamente ostili o completamente gentili, perciò questo 2025 non è stato né l’una né l’altra cosa. Ciò che fa davvero la differenza tra gentilezza e ostilità sono le scelte che ci troviamo a fare giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.
Nel 2025 molte certezze si sono incrinate.
Ce lo ha rivelato la natura dei discorsi, delle relazioni, dei silenzi. Anche alcuni ritorni che sembravano impossibili, e che invece hanno rimesso al centro linguaggi divisivi, costruito consenso sull’urlo o sulla semplificazione. Nello stesso tempo, abbiamo visto quanto possa fare la differenza il modo in cui una parola pubblica viene abitata:
nel passaggio tra due Papi, stessi ruoli ma gesti, toni e scelte comunicative profondamente diverse, capaci di generare effetti altrettanto diversi sulle persone e sulle comunità.
Alcuni temi sono diventati scomodi, altri hanno chiesto spazio. Uno, più di tutti, ha attraversato famiglie, scuole, luoghi di lavoro:
il rapporto tra generazioni.
Come ci parliamo? Come ci ascoltiamo? Come restiamo nello stesso spazio senza respingerci? È in questo contesto che arrivano decisioni come i
l divieto dei social ai minori di 16 anni in Australia: risposte nette a problemi complessi. Segnali di un’urgenza reale, che però ci riportano alla domanda più difficile: di chi è la responsabilità? E come la esercitiamo, davvero?
È stato un anno faticoso, sì, soprattutto per le persone più giovani. Per la difficoltà di immaginare il futuro, per la solitudine che può esistere anche dentro
l’iperconnessione. E davanti a questa fatica, la tentazione delle scorciatoie è forte.
Ma la responsabilità resta nostra. Di noi persone adulte. Delle parole che scegliamo. Del clima che contribuiamo a creare.
Nel 2025 abbiamo poi smesso di pensare all’intelligenza artificiale come a qualcosa di lontano. È entrata nelle nostre vite, nei nostri strumenti, nelle nostre scelte. E ci ha riportato a una domanda antica: quanto contano le parole? E quanta responsabilità abbiamo nel modo in cui le affidiamo ad altri, umani o non umani?
Intanto, il mondo ha continuato a riversarci addosso immagini di guerra, odio, contrapposizioni violente. Un flusso che stanca, indurisce, anestetizza. In mezzo a questo rumore, tenere aperto uno spazio di senso è diventato sempre più difficile. E sempre più necessario.
Spesso ci chiediamo quale sia davvero la strada da percorrere per aiutare e aiutarci, con quale passo sia necessario affrontare le difficoltà, il dolore, i problemi nostri e altrui. Con quale sguardo. E sempre più spesso ci accorgiamo che quando allarghiamo il cerchio, il peso si distribuisce. Ascoltare la fatica degli altri non ci indebolisce: ci connette. Ci ricorda che siamo parte di qualcosa di più grande. È illuminante in questo senso una frase di Simone Weil: “La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nel domandargli: qual è il tuo tormento?”
Ecco perché, guardando all’anno che si chiude, il sentimento che prevale è la gratitudine.Verso questa community viva, curiosa, presente. Vicina per scelta, non per abitudine. Capace di restare anche quando è scomodo, complesso, faticoso.
Per Parole O_Stili questo è stato l’anno di
Netily. Una parola nata dall’incontro tra persone diverse, molte delle quali giovani.
Una parola che non indica un luogo, ma una relazione. Uno spazio in cui rallentare, riconoscersi, respirare.
Uno spazio che somiglia a una casa.
Casa.
Con questa parola vogliamo salutarci.Che questi giorni siano un tempo di relazioni vere.E di parole che ci facciano sentire, finalmente, a casa.
Con gratitudine,
Rosy e il team di Parole O_stili