Iperconnessione: imparare a respirare in un mare di informazioni | Parole O_Stili
Un vortice di quaderni, libri e riviste che sprofonda in un buco nero.

Iperconnessione: imparare a respirare in un mare di informazioni

17/11/25

Viviamo in un flusso continuo di notifiche, aggiornamenti, video, consigli, allarmi e contenuti che competono per la nostra attenzione. Un oceano che non conosce pause e che chiediamo a ragazze e ragazzi di attraversare senza sempre offrire loro una bussola.È l’effetto combinato di due fenomeni che stanno cambiando le nostre abitudini: l’iperconnessione e l’overload informativo, quella sensazione di “pienezza mentale” in cui non riusciamo più a distinguere ciò che è utile da ciò che è soltanto rumoroso. Come sottolinea la sociologia dei media, lo spazio pubblico con cui entrano in contatto le nuove generazioni è dilatato e frammentato, spesso fonte di sovraccarico informativo più che di vera conoscenza.
Per chi educa – in famiglia e a scuola – promuovere benessere digitale in un mondo che chiede presenza continua è una sfida ardua e tutta nuova; una sfida che si vince anche attraverso le parole, perché il linguaggio che scegliamo diventa un modo di prenderci cura di noi stessi e di chi ci sta accanto.
Perché le persone più giovani sono così vulnerabili
Bambine, bambini e adolescenti crescono in un ambiente disegnato per catturare attenzione e tempo. Le piattaforme lavorano sui meccanismi della ricompensa immediata, attivando la dopamina, la sostanza che regola piacere e motivazione.Un “mi piace”, una notifica, una nuova missione da completare: piccole scintille che tengono il cervello in allerta e alimentano un ciclo difficile da interrompere.
Dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità mostrano che già nel primo anno di vita una percentuale significativa di bambine e bambini trascorre tempo davanti agli schermi, spesso senza mediazione adulta, aumentando il rischio di abitudini digitali poco sane fin dai primi mesi. Un uso intensivo degli schermi può interferire con la memoria operativa, la capacità di concentrazione, l’autoregolazione e le funzioni esecutive. E gli effetti riguardano anche la sfera emotiva: la generazione che ha sempre avuto uno smartphone in mano mostra livelli più alti di ansia, difficoltà emotiva e fatica nel gestire la frustrazione. Non per fragilità individuale, ma per esposizione costante a stimoli a cui non è semplice adattarsi. Una recente analisi di Save the Children Italia conferma questa tendenza: una parte non trascurabile di adolescenti mostra segnali di dipendenza, con impatti su benessere emotivo e capacità di regolare il proprio tempo online.
In questa vulnerabilità non c’è colpa: c’è un dato biologico. Ed è qui che l’educazione può fare davvero la differenza.
L’esempio delle persone adulte
Numerosi studi confermano qualcosa che spesso ci mette a disagio: bambine, bambini e adolescenti imparano il loro modo di stare online osservando come stiamo online noi.
Se una persona adulta consulta il telefono a tavola, il messaggio implicito è che la relazione può essere interrotta.Se durante una lezione chi educa guarda ripetutamente le notifiche, il sottotesto è che il digitale ha diritto di precedenza.
Non si tratta di puntare il dito, ma di ricordare che la comunicazione non ostile passa anche dalla qualità della presenza.Quando una persona giovane si sente ascoltata senza distrazioni, apprende che la relazione merita spazio e silenzio. È una delle strategie più semplici e più efficaci per contrastare l’uso compulsivo degli schermi.
Rivendicare il diritto al silenzio digitale
Per molte e molti, soprattutto in adolescenza, il mondo digitale è un ambiente che non ammette pause: se non rispondi subito, sparisci.Eppure il silenzio non è assenza: è protezione.
Difendere momenti senza stimoli significa recuperare autonomia cognitiva, la capacità di pensare, immaginare, annoiarsi, trovare soluzioni senza ricorrere subito a uno schermo.La noia non è un fastidio da eliminare: è un motore di creatività e indipendenza emotiva.
Parlare di “silenzio digitale” con parole gentili, chiare e prive di giudizio aiuta le persone più giovani a non viverlo come una punizione, ma come una scelta che restituisce respiro.
Strumenti semplici per famiglie e scuole
Non esistono formule perfette, ma alcune abitudini funzionano come punti di riferimento.
Limiti chiari: le indicazioni della Società Italiana di Pediatria possono orientare le famiglie, soprattutto nei primi anni di vita.Spazi liberi da schermi: tavola, camera da letto, momenti dei compiti. Zone protette in cui la relazione torna al centro.Rituali di disconnessione: mezz’ora senza smartphone dopo cena, un pomeriggio al mese “offline”, percorsi condivisi tra scuola e famiglie.Attività alternative: non solo meno schermo, ma più esperienze. Costruzioni, esplorazioni, arte, movimento.
Sono azioni quotidiane che costruiscono un’abitudine preziosa: sapersi disconnettere per riconnettersi meglio.
Educare alla lentezza in un mondo veloce
La tecnologia non è un avversario, e la direzione non è tornare indietro. La sfida è insegnare che non tutto deve accadere subito e che la qualità delle relazioni conta più della rapidità delle notifiche.
In questo percorso, il linguaggio è uno strumento potente.Parole gentili aprono spazio all’ascolto, riducono la paura di sbagliare e permettono a bambine, bambini e adolescenti di raccontare vissuti e difficoltà senza timore di giudizio.Parole ostili, invece, aggiungono rumore al rumore e rendono più complicato orientarsi.
Promuovere benessere digitale significa sostenere la capacità di scegliere, di aspettare, di ascoltare.E ricordare, insieme alle nuove generazioni, che il vero progresso non corre alla velocità dei pollici, ma alla profondità delle connessioni umane.
Per approfondire
Chi desidera uno sguardo ancora più ampio sul tema può ascoltare la prima puntata di “Diciamolo bene”, il nuovo podcast di Parole Ostili realizzato in collaborazione con Eni e condotto da Carlotta Valitutti. L’ospite è Vera Gheno, che aiuta a leggere l’iperconnessione e il digitale con la sua lente inconfondibile: attenta, rigorosa, e sempre centrata sulle relazioni.Un ascolto utile per chi vive la scuola, per chi educa e per chi sta cercando nuovi modi per costruire una presenza online più consapevole.