Ciao!
Ieri l’Italia si è fermata e Parole O_Stili pure.
Abbiamo scelto il silenzio sui nostri canali per comunicare il nostro pieno supporto e sostegno al popolo palestinese, abbracciando il decimo principio del Manifesto della comunicazione non ostile, “Anche il silenzio comunica”.
Allo sciopero hanno aderito decine di migliaia di persone, in più di ottanta città sparse lungo tutto lo stivale: studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici, famiglie intere che hanno scelto di occupare lo spazio pubblico per dare voce, tra volti e bandiere, al genocidio che si sta svolgendo sotto gli occhi di tutto il mondo nella Striscia di Gaza.
Una mobilitazione bellissima e condivisa, la cui forza non sta solo nei numeri ma nel gesto collettivo che ha unito tutto il Paese, sottraendo tempo alla quotidianità e ai suoi impegni per trasformarlo in voce politica con una richiesta unica: la pace.
Eppure questa mattina i titoli dei grandi quotidiani nazionali raccontano una storia ben diversa, che sposta il focus della narrazione sugli episodi di violenza e vandalismo avvenuti a Milano. “Guerriglia a Milano su Gaza”, titola il Corriere della Sera. “Piazza di pace e scontri a Milano”, rilancia La Repubblica mentre Il Messaggero esordisce con “La guerriglia dei ProPal”. Il meccanismo noto: spostare l’attenzione dal significato di una mobilitazione pacifica agli episodi di tensione, alimentando una narrazione che parla più di ordine pubblico che di istanze sociali. Tra tutti, spicca Il Fatto Quotidiano con il suo “Marea pacifica, ma tutti parlano di 100 violenti”.
Sui social, invece, il racconto è diverso. Caroselli, foto, video e testimonianze dirette, anche dei partecipanti e delle partecipanti, mostrano piazze piene, partecipazione diffusa e una pluralità di voci che si sottrae alla semplificazione e veicola orgogliosamente il suo messaggio di pace.
Due racconti diversi – quello dei giornali e quello delle piazze – che ci ricordano quanto sia importante il modo in cui si sceglie di raccontare quello che succede e che le parole che usiamo contribuiscono a dare forma alla realtà. O quantomeno alla sua narrazione. Ma oltre ai titoli e ai contenuti rimane il cuore della giornata: lo sciopero. Un diritto e, insieme, un privilegio. Uno strumento che ha senso solo se interrompe la normalità, perché è proprio in quella sospensione che la denuncia trova forza e volume per farsi ascoltare. Fermare il ritmo ordinario del Paese significa dare visibilità a disagi più profondi, trasformare il silenzio in parola politica e ricordare a tutti e tutte che la pace non è solo un auspicio, ma una responsabilità comune.
L’IA fa sempre più parte del nostro quotidiano
OpenAI ha pubblicato un report che, a partire dall’analisi di un campione di un milione e mezzo di conversazioni, studia il comportamento degli utenti e il loro utilizzo di ChatGPT nel corso degli ultimi tre anni.
I risultati mostrano qualcosa che dovrebbe stupire solo in parte:
più del 70% delle conversazioni analizzate riguardano aspetti della vita privata. Questo dato racconta molto bene come l’intelligenza artificiale stia diventando uno strumento della quotidianità, andando oltre le sue funzioni di supporto di professionisti e professioniste. Un vero e proprio assistente personale a cui chiedere aiuto per, ad esempio, spiegare qualcosa ad un bambino piccolo o organizzare un viaggio. Come abbiamo già visto in passato,
tra i diversi usi dell’IA c’è anche quello che la vede vestire i panni di un interlocutore emotivo. C’è chi si confida come farebbe con uno psicologo, chi la considera una figura amica e chi arriva addirittura ad instaurare vere e proprie relazioni affettive con un chatbot.
Un altro aspetto sicuramente interessante che emerge dal report riguarda l’età degli utenti: quasi la metà dei messaggi analizzati, infatti, è stata scritta da persone sotto i 26 anni. Di questi, quelle registrate con nomi femminili ha superato il numero di quelle che invece si presentano con un nome maschile.
La fotografia offerta dal report è chiara: l’intelligenza artificiale non è solo uno strumento tecnico, ma un ambiente culturale che le generazioni più giovani stanno già abitando con naturalezza. Se questi spazi saranno un terreno di crescita o, al contrario, di rischio, dipenderà tutto dall’educazione, dalla consapevolezza e dalla qualità delle relazioni che riusciremo a coltivare con e intorno a questi strumenti.
Parole a Scuola: tre panel da non perdere
Manca poco meno di un mese alla terza edizione di Parole a Scuola e, lo sappiamo, scegliere a quali panel partecipare il 18 ottobre non è facile. Gli argomenti sono tanti e tutti importanti, i relatori e le relatrici – tra cui professori e professoresse dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che sarà casa di questa imperdibile giornata – porteranno tante prospettive e tanti punti di vista e le domande a cui cercheremo di rispondere riguardano tutte le persone che hanno il compito di accompagnare le nuove generazioni, in aula e a casa.
Quindi abbiamo pensato di farti un favore e segnalarti tre interventi che, secondo noi, sono proprio da non perdere.
Se lo trovo su YouTube, perché dovrei studiarlo? Il tempo di imparare quando tutto è facile
Nella scuola di oggi la sfida non è solo spiegare, ma motivare. Se “c’è un video su YouTube” per ogni cosa, qual è il senso dello studio? Questo panel riflette sul valore della scuola in un mondo in cui il sapere è sempre più a portata di clic.
Insieme a Piermarco Aroldi (Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi UCSC), Giorgia Azimonti (Studentessa) e Andrea Moccia (Fondatore e direttore editoriale di Geopop).
In Aula Magna, dalle 15:00 alle 15:50.