Sì,
è Papa Francesco con in mano il nostro Manifesto della comunicazione non ostile. Accanto a lui Rosy Russo, la nostra Presidente.
Se ti condividiamo questa immagine è per raccontarti che abbiamo partecipato al progetto “
La Chiesa Ascolta”, pensato per portare il Sinodo anche nel Continente Digitale.
Al progetto, che è durato due mesi e mezzo, hanno partecipato oltre 100 istituzioni e reti cattoliche rappresentanti di 7 diverse lingue (inglese, spagnolo, francese, portoghese, italiano, malayalam, tagalog), coinvolgendo così 115 Paesi. Attraverso 250 influencer, invece, è stato distribuito un questionario contenente domande sul futuro della Chiesa Cattolica e sono state raccolte oltre 110.000 risposte, non soltanto di credenti ma da persone lontane, non praticanti, agnostiche, appartenenti ad altre religioni ed atee.
Nell’ambito del progetto
Rosy Russo è stata la referente degli influencer italiani. Quali saranno gli sviluppi futuri ancora non lo sappiamo, ma si tratta sicuramente
un passo importante di apertura verso il digitale da parte di una confessione religiosa come quella cattolica. È la dimostrazione che le nostre sono davvero vite “onlife” e che quindi coinvolgono diversi piani della nostra quotidianità.
Nel frattempo noi siamo orgogliosi che
Papa Francesco abbia potuto leggere il decalogo e poi chissà… Lo scorso numero della newsletter lo abbiamo dedicato a
Twitter e a Elon Musk. [
Qui se vuoi recuperare]
Questa volta prendiamo spunto proprio dal prosieguo di questa vicenda per fare una riflessione più ampia su internet e sulle responsabilità che istituzioni e aziende devono assumersi.
Attualmente Twitter è nel caos,
come scrive IlPost. Lo è per tanti motivi ma quello che sta creando più scompiglio è l’acquisto del
la “famosa” spunta blu: paghi 8 dollari e al tuo profilo comparirà il bollino che ne certifica l’autenticità. Hai presente quella di Instagram? Uguale.
Purtroppo però chiunque può acquistare la spunta blu associandolo a qualsiasi nome,
innescando meccanismi di disinformazione molto pericolosi. Uno dei più gravi di questi episodi coinvolge l’azienda farmaceutica Lilly: un utente ha acquistato la spunta blu @Elililly&Co e ha twittato che la società avrebbe iniziato a offrire insulina gratuitamente. Ovviamente era un account fake e in poche ore l’azienda ha perso in borsa 14 miliardi.
La certificazione era stata
voluta proprio da Musk per allargare il più possibile il concetto di libertà di parola, al momento però le conseguenze di questa scelta sono state solo confusione e un aumento di parole d’odio (hate speech) e disinformazione.
Ma cos’è di preciso l’hate speech? Secondo le Linee Guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sono tutte quelle espressioni che “
incitano, promuovono, diffondono o giustificano la violenza, odio o discriminazione contro una persona o un gruppo di persone, o che le denigrano, a causa di loro caratteristiche personali reali o attribuite o di status come la “razza”, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità o l’origine etnica, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere e l’orientamento sessuale”.
Insomma, sono tutti quei discorsi che hanno delle conseguenze concrete e negative sulla vita di altre persone. Sono quei discorsi che mettono in pericolo altre persone.
Quindi, tra diritto di parola e rispetto delle dignità
qual è la distanza giusta per preservare entrambe? Chi ha delle responsabilità in merito ad un tema così importante?
Sicuramente gli attori principali di questo scenario sono le istituzioni, i media e le grandi aziende digitali; questi infatti hanno enormi responsabilità, soprattutto adesso che siamo ben consapevoli che
la Rete non è soltanto un luogo straordinario per conoscere e comunicare ma è anche quel luogo dove è possibile alterare il funzionamento delle istituzioni democratiche, inquinare il processo elettorale e destabilizzare l’opinione pubblica.
Una responsabilità che le istituzioni sanno di avere, tanto che lo scorso maggio 60 Paesi e partner hanno sottoscritto la “
Dichiarazione per il futuro di Internet”, un documento di orientamento per ribadire che è intenzione condivisa quella di mantenere il modello decentralizzato, aperto e globale di internet.
Sì, ma l’hate speech? A chi resta la responsabilità di gestire il fenomeno? Se le istituzioni non intervengono in modo concreto spetta alle aziende private? Queste hanno l’interesse di agire per il bene comune?
Le domande sono tante e le risposte molto confuse o ancora da definire, resta il fatto che sono decisioni importantissime da prendere e che hanno delle ricadute molto, molto concrete sulla vita delle persone.
Se vuoi approfondire il tema della distanza tra la libertà di parole e hate speech ti lasciamo qui una serie di articoli molto interessanti.