Ciao!
Questa settimana il Megafono Giallo parte da una domanda che ci riguarda tutti e tutte:Quanto contano le parole nel raccontare chi siamo?
Quando parliamo di
genere e potere, le parole non sono solo accessori:
possono costruire la realtà o demolirla. E allora scegliamole con cura - come fanno i “
Grammamanti” di Vera Gheno: con dolcezza e ascolto, non per dominarle ma per capirle.
Quando il linguaggio sminuisce
Un episodio recente ce lo ricorda bene: durante la conferenza stampa al vertice di pace di Sharm el-Sheikh, che ha visto i leader di ventotto Paesi e tre organizzazioni internazionali riunirsi per firmare il documento che traccia il futuro della Striscia di Gaza,
Donald Trump ha definito la premier italiana
Giorgia Meloni “una bellissima giovane donna”.
Quello che a una lettura superficiale potrebbe sembrare un complimento del presidente USA, in questo contesto si rivela, al contrario, un’azione invalidante del ruolo della premier. Chi rappresenta un Paese va riconosciuto per la sua funzione, non per l’aspetto.
È un esempio chiaro di quanto il linguaggio possa
rafforzare o ridurre la leadership femminile. E ci ricorda che, nella nostra lingua, il
maschile universale non è davvero neutro: quando diciamo “il medico”, nella nostra mente spesso compare un uomo.
“Cortigiana”: politica o insulto?
Questa settimana anche un’altra notizia ha infiammato il dibattito sull’uso del linguaggio nell’ambito della politica, in questo caso nazionale. Nel corso di un’intervista televisiva il segretario della CGIL Maurizio Landini ha affermato, parlando delle manifestazioni italiane per Gaza, che Giorgia Meloni si sarebbe “limitata a fare la cortigiana di Trump”. La premier ha reagito evidenziando il sessismo implicito nel termine, ma la replica di Landini è stata ferma: la sua, ha dichiarato, è stata una critica politica.
Ma le parole non si fermano all’intenzione: portano con sé una storia.E “cortigiana” rimanda a un linguaggio sessista, che colpisce la persona e non le idee.
E come ci ricorda l’ottavo principio
del
Manifesto della comunicazione non ostile: l
e idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare.Una donna a caso (ma non troppo)
Nel lavoro, nel giornalismo, nella vita quotidiana: il
sessismo passa anche da piccoli gesti linguistici.Chiamare una donna per nome, senza cognome o titolo, è un modo per
sminuire la sua autorevolezza.
A ricordarcelo c’è la pagina Instagram
@unadonnaacaso, creata da
Valentina Falco.Con ironia e intelligenza raccoglie esempi di titoli e frasi che rendono invisibili le donne protagoniste.Perché ogni volta che le parole cancellano,
la realtà perde un pezzo di verità.
Anche l’IA ha i suoi pregiudizi
Un recente studio europeo lo ha mostrato: nemmeno i
traduttori automatici sono neutrali.•
The engineer fixed the problem quickly” diventa “
L’ingegnere ha risolto il problema rapidamente”.•
The nurse went home diventa “l’infermiera è andata a casa”.
Gli algoritmi imparano dal linguaggio online, e il web è pieno di stereotipi.Non c’è cattiva intenzione, solo imitazione.Ecco perché serve insegnare anche alle macchine una lingua gentile: più equa, più vera, più rispettosa.
Il linguaggio plasma la realtà, anche nei momenti più tragici.
Il femminicidio di Pamela Genini, 29 anni, uccisa dal compagno, ce lo ricorda.
Spesso i media raccontano gli assassini come “mostri isolati”, ma così si nasconde la radice del problema: la cultura patriarcale che trasforma la donna in possesso.
E quante volte si parla più dell’assassino che della vittima?Nominare le donne per nome e cognome è un atto di rispetto.Ciò che non si nomina, non esiste.
Piccole rivoluzioni quotidiane
Si chiama
#Microfeminism ed è un trend (ma anche un movimento) nato su TikTok.Fatto di piccoli gesti che cambiano la prospettiva:
> Non scusarsi per aver preso parola.> Ripetere un’idea di una collega ignorata (“come diceva lei prima…”).> Correggere con gentilezza un linguaggio sessista.
Sono micro-azioni, ma potenti.Perché ogni parola scelta con cura è un piccolo atto politico.La comunicazione non ostile è questo: consapevolezza.
Educare al linguaggio della cura
In Italia è in corso un acceso dibattito sull’
educazione affettiva e sessuale.Un
emendamento prevede che venga fatta solo alle superiori, e solo con il consenso scritto dei genitori. Molti, tra cui la
Fondazione Cecchettin, parlano di un “passo indietro” nella diffusione di una cultura del rispetto.Secondo
una ricerca realizzata da Webboh Lab per Parole O_Stili su oltre 1.000 ragazzi e ragazze tra 12 e 20 anni, per troppi giovani, il web è ormai l’unico luogo dove cercare risposte su affettività e sessualità. Vietare l’educazione affettiva nelle scuole equivale condannare un’intera generazione al
fai-da-te emotivo, lasciandola sola tra video, chat e modelli distorti.
Educare alla sessualità non significa “anticipare” nulla, ma accompagnare alla consapevolezza, insegnare a riconoscere i propri limiti, i propri desideri e quelli altrui. Ignorare questo compito non protegge i ragazzi: li abbandona.
Togliere loro le parole per parlarne significa lasciarli soli.
E senza parole non si riconoscono le emozioni.
Come ricordava
Tullio De Mauro, la scuola non deve insegnare solo la grammatica,ma
come le parole feriscono o includono.
È da questa convinzione che nasce
Parole a Scuola, la giornata di formazione gratuita organizzata il
18 ottobre da
Parole O_Stili insieme all’
Università Cattolica del Sacro Cuore e all’
Istituto G. Toniolo.
Un incontro dedicato a chi accompagna ragazze e ragazzi nel mondo digitale - genitori, insegnanti, educatori e educatrici - per riflettere su cura, rispetto e consapevolezza.
Le registrazioni di tutti i panel saranno presto disponibili, ma puoi già guardare la Plenaria di apertura:
“
Oltre i banchi: educare alla vita tra fragilità e futuro” con la nostra presidente
Rosy Russo, con la rettrice dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Elena Beccalli,
Chiara Bidoli, Mariagrazia Fanchi,
Paola Frassinetti, Emanuele Frontoni e
Matteo Lancini.Perché educare al linguaggio è, sempre, educare alla vita.
Ti va di condividere questa newsletter? Inoltrala a chi ama le parole, o a chi ogni tanto dimentica quanto contano.
Martedì 21 ottobre
Ore 11 | All’interno del percorso formativo dedicato alla comunicazione consapevole, saremo a Bologna per un incontro in presenza rivolto alla popolazione aziendale di FiberCop. “Crescere in rete” è pensato per aiutare a comprendere rischi e opportunità del digitale e come le nuove generazioni vivono la rete e i social media. A partire dal Manifesto della comunicazione non ostile, rifletteremo su sicurezza online, privacy, cyberbullismo e reputazione digitale, offrendo strumenti per promuovere un dialogo positivo e un uso consapevole della tecnologia in famiglia.
Giovedì 23 e venerdì 24 ottobre
Ore 11:00 | Saremo al Liceo Montini di Milano per due incontri dedicati al valore e al potere delle parole: il 22 ottobre con gli studenti del quarto anno del Liceo linguistico e il 23 ottobre con le classi del secondo anno del Liceo classico. Entrambi gli appuntamenti si inseriscono nel percorso educativo dell’Istituto, che quest’anno mette al centro “la parola” come strumento di dialogo, ascolto e crescita. Attraverso attività e riflessioni ispirate al Manifesto della comunicazione non ostile, accompagneremo i ragazzi in un viaggio tra linguaggio, consapevolezza e responsabilità.