Ciao!
Donald Trump è stato eletto come 47° Presidente degli Stati Uniti. No, non è una notizia dell’ultim’ora, ma quello che ci interessava fare qui, a distanza di una settimana, era osservare più da vicino come il mondo dei social e dell’industria del digitale avesse reagito.
Come ha scritto Valentina Tonutti - social media manager e strategist - su Wired:
“Durante la campagna elettorale americana i social media hanno avuto un ruolo centrale, con candidati, familiari dei candidati e figure pubbliche che hanno utilizzato le piattaforme per raggiungere e influenzare milioni di elettori. La comunicazione di Kamala Harris e quella di Donald Trump hanno pochissime cose in comune. Una, però, è evidente: produrre contenuti di forte impatto sul pubblico di riferimento.” Nello stesso articolo ha elencato i 10 momenti più iconici della campagna vissuti sui social media. Vuoi scoprirli tutti?
Leggi l’articolo di Wired.“... questa è stata la campagna elettorale in assoluto più social di tutti i tempi.” scrive
Domenico Giordano, spin doctor per Arcadia e consigliere nazionale AssoComPol e FerpiLab su Sky TG24.
“Il neo – presidente americano, negli ultimi tre mesi di campagna aveva una media di ben 8 post pubblicati al giorno su Facebook, Instagram, TikTok, X, Youtube, Rumble, Truth e Telegram. Senza poi contare le diverse comunità trumpiane presenti su Reddit, a cominciare da quella forse più numerosa e attiva, la DonaldTrumpMemes, dove gli iscritti postano esclusivamente meme prodotti che riguardano Donald Trump.” Insomma, un investimento in termini economici e di energie davvero significativo, a dimostrazione che i social hanno sempre più un ruolo di grandissima rilevanza durante le campagne elettorali. Certo, non sono l'unico mezzo che informa e orienta gli elettori -
come ha commentato Roberto Saviano - ma è innegabile che, nei momenti cruciali della corsa presidenziale, i social abbiano giocato un ruolo decisivo.
Ma quanto costano i social ai candidati presidenti degli USA? “Da luglio a novembre, Kamala Harris ha speso la bellezza di 68 milioni di dollari ai quali se ne aggiungono altri 53 per gli annunci su Youtube e Google. Sul fronte repubblicano, invece, Donald Trump ha investito solo 14 milioni di dollari con Meta e altri 23 milioni per le inserzioni su Google e Youtube.”
I rapporti tra i colossi tecnologici americani e Donald Trump non sono mai stati semplici, ma questa volta il "sentiment" sembra cambiato. Gli amministratori delegati delle principali aziende tech sembrano voler fare un passo avanti: lo scorso 6 febbraio, figure come Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple), Sundar Pichai (Google), Jeff Bezos (Amazon), Sam Altman (OpenAI, ChatGPT) e Satya Nadella (Microsoft) hanno espresso, pubblicamente o privatamente, le loro congratulazioni al neo-eletto Presidente.
Un discorso a parte va fatto per Elon Musk (proprietario, tra le altre cose, della piattaforma X), che ha supportato economicamente e pubblicamente la campagna di Trump e per il quale, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe esserci anche un ruolo di governo.
Ma quali sono le principali preoccupazioni dei colossi tech con il ritorno di Trump alla Casa Bianca?
- Dazi sulle importazioni. Trump ha annunciato un dazio universale del 10%, con una possibile imposta fino al 60% sulle importazioni dalla Cina e al 100% sui prodotti dal Messico. Questa misura penalizzerebbe le aziende tech che producono in Cina e in altri Paesi.
- Sviluppo dell’intelligenza artificiale. Trump ha promesso di abolire una normativa che mira a regolamentare l’IA, una tecnologia in rapida espansione che solleva già diverse preoccupazioni etiche e di sicurezza. La sua eliminazione aprirebbe nuovi scenari, accelerando ulteriormente il settore.
- Social media. Da anni, Trump sostiene l’abolizione della Section 230, che attualmente protegge le piattaforme online dalla responsabilità sui contenuti pubblicati dagli utenti. Se riuscisse a eliminarla, i giganti dei social media potrebbero trovarsi esposti a una valanga di cause legali.
L’Australia vuole vietare l’accesso ai social network ai minori di 16 anni.
Lo ha annunciato il primo ministro.
“L’Australia starebbe testando un sistema innovativo di verifica dell’età per impedire ai minori di creare account su piattaforme social. Questo meccanismo di controllo, il più rigido al mondo, include l’uso di metodi avanzati come la biometria e l’identificazione governativa, con l’obiettivo di far rispettare rigorosamente il limite di età. I Big dei social a questo punto avranno tempo un anno per capire come escludere i bambini australiani di età inferiore ai 16 anni.” scrive il Sole 24 Ore.
Sulla stessa linea anche il nostro ministro dell’Istruzione Valditara che ha ancora una volta confermato l’obiettivo di vietare gli smartphone nelle scuole ai minori di 14 anni e ha rilanciato il divieto di accesso ai social network per i minori di 15 anni.
Più volte ci siamo espressi su questo tema, ti lascio qui gli ultimi due numeri dedicati:
È innegabile, e lo ripetiamo in ogni occasione e formazione, che senza una cultura del digitale non possiamo pensare che le nuove generazioni possano crescere incolumi da pericoli, in alcuni casi anche molto gravi.
Restando sul tema digitale e minori, la parola di questa settimana è Overparenting.
L'overparenting è uno stile educativo in cui i genitori, anche grazie all’aiuto di numerosi strumenti digitali (geolocalizzazione, registro digitale, parental control, ecc…), diventano eccessivamente presenti nella vita dei figli e delle figlie, cercando di controllare ogni aspetto delle loro esperienze e di risolvere ogni difficoltà al loro posto.
Questo tipo di approccio va oltre il normale supporto: i genitori tendono a proteggere troppo, a gestire i compiti dei figli, e a cercare di evitare ogni situazione che potrebbe causare loro frustrazione o insuccesso.
Questo comportamento è nato con le migliori intenzioni, ma può avere effetti negativi. I figli di genitori "overparenting" spesso crescono con meno autonomia e sono meno capaci di gestire le sfide, perché non hanno avuto la possibilità di farlo in modo indipendente.