Ciao,
ti immagini come sarebbe il mondo se non si potesse più dire “
wow”?
Lo ha raccontato bene Marina Nasi su Valigia Blu e per questo che noi vogliamo riproporre la storia anche a te.
All’inizio di quest’anno scolastico, agli alunni e alle alunne di una scuola di Londra, la Ark All Saints Academy, è stato distribuito un foglio:
la lista delle parole vietate a scuola. Non si tratta di insulti o parolacce, ma parole “riempitive” e modi di dire. Per esempio, non si può cominciare una frase con “vedi”, “fondamentalmente” e anche con “perché” o utilizzare l’espressione “that’s long” per indicare qualcosa di noioso. Ma tornando a noi… come avrai immaginato, anche “wow!” rientra tra le parole vietate.
La preside, stilando questa lista, voleva promuovere nella scuola un linguaggio chiaro e accurato. Non ha però tenuto conto del contesto: la scuola si trova a Camberwell, un quartiere multietnico di Londra con una prevalenza di abitanti afrodiscendenti. Cosa c’entra? Alcune espressioni sono
intercalari tipici del parlato ma altre sono esempi di “
British Black English”, una variante dell’inglese parlato nelle comunità da cui gli alunni e le alunne provengono. Quello che è accaduto è stato quindi un divieto esplicito, con un regolamento apposito, di utilizzare la lingua con cui si è cresciuti e che normalmente si parla. Si tratta di discriminazione linguistica.
La discriminazione linguistica“La discriminazione linguistica consiste nel giudicare e trattare negativamente qualcuno sulla sola base dell'uso del suo linguaggio, che si tratti di accento, pronuncia o anche uso di vocabolario e sintassi. In pratica, si tratta degli stereotipi e dei bias che associamo, spesso inconsapevolmente, al modo di parlare di una persona”.Nei Paesi di lingua inglese esiste un forte scarto tra
quello che viene percepito come “accento neutrale” (tipico delle scuole private e della classe dirigente) e
le altre forme di inglese: come possono essere gli accenti del Nord del Regno Unito o del sud degli Stati Uniti, il modo di parlare della working class e, soprattutto per persone nate in altri Paesi, gli influssi delle madrelingue sull’inglese.
Il modo in cui parliamo riflette spesso molti aspetti della nostra identità, come la nostra provenienza o il livello di scolarizzazione. Ma questo non deve essere un motivo di discriminazione. La lingua standard è tale per precise condizioni storiche, geografiche, politiche, sociali ed economiche. Ma non è una lingua migliore rispetto alle altre che si parlano.
Per esempio, in Francia, da un anno, esiste
il reato di “glottofobia”: punisce le discriminazioni basate sull’accento, promuovendo così allo stesso livello tutti i diversi modi di francese che si parlano. Sono tutte lingue con una loro storia e una loro tradizione che è giusto rispettare.
Tornando alla scuola inglese: quello che è stato vietato non sono “espressioni ostili” e poco chiare ma una forma di inglese non proprio convenzionale. Divieti che possono avere conseguenze psicologiche sui ragazzi e le ragazze perché si va a colpire quella che è la loro identità.
Si scoraggia in questo modo la comunicazione perché si sentiranno insicuri nel parlare. Inoltre, molti linguisti, commentando questo episodio, hanno sottolineato la creatività di questi modi di dire e di come la lingua ufficiale ne potrebbe soltanto uscire arricchita.
Per approfondire quello che abbiamo raccontato, ti lasciamo l’articolo
Cos’è la discriminazione linguistica e perché è importante riconoscerla, scritto da Marina Nasi e pubblicato su Valigia blu.
In ItaliaCi hai mai fatto caso alla discriminazione linguistica?
Anche qui da noi, in Italia, il dibattito sulla lingua standard torna ciclicamente. L’ultima scintilla è scoppiata con la serie “Strappare lungo i bordi” del fumettista Zerocalcare, in cui racconta con ironia il tema dell’amicizia. Una delle principali accuse è che la serie sarebbe “incomprensibile” perché il protagonista (lo stesso Zerocalcare) parla in romano.
Per commentare, prendiamo in prestito
le parole di Giusi Palomba, sempre scritte per Valigia Blu: “Eppure, l’antipatia, quando non la critica sfacciata a mezzo stampa, verso una parlata, un dialetto o una lingua minoritaria, non è mai soltanto una questione di lingua”. La discriminazione linguistica è proprio questo: non riconoscere che
la storia di una lingua è un’intricata relazione di geografia, storia, migrazioni, politiche, riforme scolastiche, classi sociali e davvero tanti altri fattori. Proprio per questo, sarebbe preferibile non pensare che ci sia una lingua buona e giusta e che le altre siano da estirpare.
In questa storia linguistica,
i mezzi di comunicazione hanno avuto e hanno ancora un ruolo fondamentale. Sono uno strumento attraverso il quale ascoltiamo e apprendiamo la lingua. Anche per questo, è interessante che all’interno di prodotti culturali vengano rappresentate anche altre lingue oltre all’italiano ufficiale, perché può essere un modo per comprenderle, per avvicinarci, per scoprirle.
“Le parole sono un ponte”, dice il Principio 5 del Manifesto della comunicazione non ostile.
Per esempio, nella serie Gomorra, trasmessa da Sky dal 2014 e ispirata al romanzo di Roberto Saviano, si parla in napoletano. E, come raccolto in
questo articolo di Antonio Scolamiero pubblicato sul Corriere della Sera, molti modi di dire e parole della serie sono ormai diventati popolari, permettendoci di comprendere qualcosa di più della cultura napoletana contemporanea.
Insomma, in Italia esiste una lingua ufficiale, 12 lingue di minoranze linguistiche ufficialmente riconosciute e numerosissimi dialetti. Non sarebbe bello se imparassimo a rispettarci tutti, ognuno con il proprio modo di parlare?
Giovedì scorso, 25 novembre, in occasione della
Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, Sorgenia ha pubblicato l’ebook “Storie di donne rinate”, il quale raccoglie 10 racconti ispirati al Manifesto della comunicazione non ostile.
Puoi scaricarlo qua. Per ogni download, verrà donato 1€ all’associazione Pangea che, con le sue attività, sostiene e aiuta le donne in difficoltà.
Inoltre, se sei a Milano,
puoi ascoltare direttamente le storie in questa installazione. Se ti avvicini alla cornetta, sentirai i 10 racconti direttamente dalle voci delle loro autrici.